Pagine

mercoledì 30 marzo 2011

Ecco il Cie di Bologna e la staffetta da Lampedusa



Benvenuti nella terra di mezzo. Quattro auto blindate dell’esercito segnano il perimetro. Dentro, cameroni che non assomigliano alle celle del carcere, niente ora d’aria perché qui dentro si può girare. Ma anche nessuna certezza sui giorni, i mesi che passeranno. Nessun giorno di libertà da aspettare. Siamo nel Cie di Bologna, con gli occhi di Marco Perduca, senatore, e Zeno Gobetti, radicale bolognese. Inizia proprio da Bologna, da via Mattei, il giro di ispezioni nei Centri di identificazione ed espulsione del Nord Italia.

“Di carceri io ne ho viste tante in Emilia-Romagna, assieme ai parlamentari – racconta Gobetti. Il Cie è un’esperienza completamente diversa. Il clima di detenzione non si sente come nelle carceri, perché è possibile spostarsi, girare nell’area di contenimento, gli stanzoni sono grandi. E ci sono 30 operatori per 90 persone, una proporzione che nelle carceri è inimmaginabile. La detenzione è più edulcorata. Ma durante la visita tanti mi hanno chiesto perché vengono tenuti dentro mesi e mesi, cosa hanno fatto”. Quanto si rimarrà lì, negli stanzoni, chi arriva non può saperlo: è un limbo. Un limbo con letti in cemento armato, la presenza dei militari in tenuta antisommossa ai lati dell’area di contenimento – non possono entrare dentro il centro, non svolgono attività di ordine pubblico, non rendono meno cupo l’orizzonte. Ad oggi in via Mattei alloggiano 50 uomini e 40 donne, una ventina di loro ha problemi di tossicodipendenza. Una decina ha chiesto l’asilo politico. Quasi tutti e in particolare le donne vengono da esperienze traumatiche, sono vittime di maltrattamenti, sono state nella tratta della prostituzione. “Non so se questo tipo di detenzione possa davvero aiutarle”, commenta Zeno Gobetti.

Qui, in via Mattei, più di altre 15 persone non possono essere alloggiate, scrivono i Radicali nella loro relazione, che aggiungono: “In vista dei trasferimenti previsti dal Governo dei migranti di Lampedusa ci chiediamo come possa essere risolta l’emergenza di accoglienza di migliaia di persone facendo riferimento a strutture che possono accogliere al massimo poche persone in più rispetto all’ordinario. Ci auguriamo che il governo non intenda sovraffollare queste strutture rendendo le condizioni di vita più difficili di quanto già non siano”.



Mentre la Regione aspetta novità dal governo e attende il piano nazionale di emergenza umanitaria,  il sottosegretario degli Interni Alfredo Mantovano annuncia l’apertura di 13 nuovi Cie da realizzarsi lungo la penisola in siti militari dismessi e messi a disposizione dal ministero della Difesa. “Il governo sta agendo in modalità anomala e straordinaria, ha già deciso a priori che i migranti non avranno diritto a una protezione internazionale, a una qualche forma di asilo, eppure è chiaro a tutti che il Mediterraneo sta vivendo un momento di serio sconvolgimento”, dice Neva Cocchi dello sportello migranti del Tpo. La Cocchi in questi giorni fa la spola tra Lampedusa e Bologna, è impegnata nella campagna Welcome (progetto Meltingpot Europa), una “staffetta” sull’isola di Lampedusa per raccontare cosa sta accadendo e per restare a fianco dei migranti. 

“Stiamo lottando perché gli sfollati possano avere diritto a un permesso di soggiorno per motivi umanitari”, spiega Neva Cocchi, “il problema è che Maroni e altri dal canto loro stanno conducendo una battaglia per decretarli irregolari. Abbiamo incontrato i consiglieri emiliano-romagnoli, abbiamo aperto un tavolo per il riconoscimento di una protezione internazionale, per valutare una collaborazione con l’UNHCR. Gli strumenti della Bossi Fini sono inefficaci”, sostiene la Cocchi, che, a prescindere dalle ultime vicende internazionali, a questa legge – e  ai Cie – riserva un giudizio molto duro. “Io nel Cie ci sono entrata il primo marzo assieme ad altri attivisti, sono stata oltre quei cancelli – racconta - e quello che ho visto è una realtà disumana, perché la detenzione amministrativa è disumana. Togliere la libertà a chi ha commesso un’ infrazione amministrativa significa condannare alla privazione di dignità persone che non hanno potuto scegliere”. 

domenica 20 marzo 2011

Nessun dorma


Nessun dorma: contro la chiusura del dormitorio bolognese di via Capo di Lucca si scatenano tanti in città. Stiamo parlando di una struttura di prima accoglienza che da novembre ad oggi ha ospitato circa 200 persone, di cui l’80 per cento non residenti e pochissimi già intercettati dai servizi sociali. Un “servizio a bassa soglia”, così lo definisce l’Antoniano che assieme a Piazza Grande gestisce il dormitorio nato per dare accoglienza nei mesi di freddo. Settanta posti letto che, con il terminare della stagione invernale, la commissaria Anna Maria Cancellieri si prepara a smantellare.

Ma la chiusura del servizio, che già aveva dovuto contare sull’appoggio dei bolognesi a causa degli scarsi fondi dati dal Comune (molti hanno donato le loro coperte o fatto i volontari), non lascia indifferente la città. L’appello lanciato su Facebook dal Partito democratico sta raccogliendo sostegni bipartisan – da Rifondazione comunista all’Udc, da Virginio Merola a Stefano Aldrovandi, passando per un ventaglio amplissimo di forze associative. E se il Comune commissariato per ora non dà segni di ripensamento, la
chiusura prevista per il 20 marzo verrà protratta al 31 grazie all’aiuto di Arci Bologna.

"Vorrei vivere in una città che si occupa delle persone - di tutte le persone, anche di chi non ha un tetto. Dove andranno se il dormitorio chiude? Continueremo a passare davanti a loro facendo finta di non vedere?", scrive Elena sul gruppo Facebook "No alla chiusura del dormitorio di via Capo di Lucca!" creato dai Giovani democratici di San Vitale che in pochi giorni ha raggiunto i 1310 amici, fra cui non mancano politici e attivisti. E mentre Stefano Brugnara promette che l'Arci si farà carico delle spese fino alla fine del mese, la preoccupazione di molti va al dopo. L'Antoniano parla della "urgenza di pensare insieme al Comune ad una struttura di prima accoglienza che negli anni è stata progressivamente smantellata". E alcuni evocano il fantasma del piccolo Devid, come Gianguido Naldi di Sel, che ammonisce: "Certe scelte producono un disagio sociale che sfocia nelle tragedie come la morte del piccolo qualche mese fa".





Il link al mio articolo sul  Fatto Quotidiano


Il gruppo facebook contro la chiusura del dormitorio

sabato 12 marzo 2011

Il senso di questa serata



E' giovedì 10 marzo sera, ci siamo dati appuntamento nella sala conferenze del Baraccano. Siamo circa 80, all'assemblea pubblica di quartiere organizzata dal Pd di Santo Stefano, e siamo riuniti (questo l'obiettivo dichiarato dell'incontro) per proporre candidature per le liste di quartiere e Comune.
Intervengono una trentina di persone, la maggior parte per fare nomi, un paio per condividere con tutti noi qualche amarezza sulla politica.
Il mio nome viene fatto da più persone: sicuramente molti mi conoscono già. Ma penso che sia importante in ogni caso spiegare perché mi piacerebbe candidarmi come consigliera di quartiere. Perciò intervengo: non un discorso "preparato per l'occasione", ma che racconti un po' chi sono a chi non mi conosce. E che spieghi le ragioni della politica che faccio sul territorio, per scelta.
Non "il programma dettagliato e definitivo", ma qualche parola e qualche proposta politica in mezzo al succedersi dei nomi.
Qualcuno riprende il mio intervento con la fotocamera e me lo regala, quindi posso condividerlo con voi. Grazie a chi ha fatto il mio nome, a chi l'ha fatto anche senza essere iscritto al Pd come Matteo, a chi non è intervenuto pubblicamente ma è venuto per sostenermi come Anna, a chi come Maurizio mi lanciava sguardi di incoraggiamento. Agli amici e a chi ancora non mi conosce.








giovedì 10 marzo 2011

8 marzo, quei silenzi che fanno rumore

Quelle che il rumore lo fanno…

E va bene, siamo così, dolcemente complicate, come diceva una canzone che - l' ha fatto notare la ficcante Guia Soncini - è stata scritta non da una donna, Fiorella Mannoia, ma da un uomo, Enrico Ruggeri. Ed è vero che alcune ci descrivono, sulle pagine dei giornali, come quelle che hanno paura di fare rumore mentre masticano il loro panino e quasi si nascondono mentre mangiano.   



Non sarò certo io a dire come siamo, se siamo dolci o se di mangiare panini non ci vergogniamo: a me le etichette, soprattutto quando sono superficiali, non piacciono. Quello che so è che di rumore le donne ne hanno fatto tanto l’8 marzo e anche il 13 febbraio e anche prima. E che l'hanno fatto nel nome di tutte, anche se non a nome di tutte e senza volerle per forza etichettare.

…e quelli che stanno in silenzio.

Quello che sui giornali non ho letto, ma che secondo me avrebbe dovuto far notizia, è il silenzio pesante del Pdl. Me ne sono resa conto il 7 marzo, quando, dovendo scrivere un pezzo per il giornale radio La Stefani sulle iniziative per la festa della donna a Bologna, ho spulciato su qualche sito pidiellino della mia città. Il mio voleva essere un pezzo bipartisan, come al di là delle parti dovrebbe essere la festa della donna. Non scrive nulla Galeazzo Bignami, mi sono detta, ma magari Anna Maria Bernini, parlamentare bolognese e candidata in Regione alle scorse elezioni, qualcosina farà o dirà. 



Non amo la retorica e le formule di rito, capisco inoltre che per il Pdl la dignità della donna sia  (come dire?) un tema scottante, ma come può un partito al governo dimenticarsi  completamente della festa della donna? “La mia giornata dell'8 marzo la passerò in aula a lavorare ai contenuti – mi ha detto al telefono la Bernini -, dovremo affrontare domani le questioni del testamento biologico e del federalismo regionale. Certo a queste persone che scendono in piazza non voglio negare la libertà di manifestare, ma nemmeno si possono fare strumentalizzazioni politiche”. 


Questioni di... opportunità. Ma le pari opportunità? Come può un partito con un ruolo istituzionale dimenticarsi completamente della lotta per le pari opportunità, per il lavoro, per la dignità delle donne? 
Si astiene da qualsiasi iniziativa per la festa delle donne la donna del Pdl bolognese. Dal partito di Silvio mi sarei aspettata qualcosa di più: perlomeno una balla, una barzelletta, una consulenza di comunicazione e marketing che si rispetti!

domenica 6 marzo 2011

La p@rola secondo Godard


Nina discute sulla parola con un filosofo incontrato per caso. Un frammento affascinante di "Vivre sa vie", Jean-Luc Godard, 1962. Da guardare... senza fretta.
 

venerdì 4 marzo 2011

FOCUS Politiche culturali e audiovisivo a Bologna

E' vero che Bologna ha una politica culturale ormai stanca e abbastanza conservatrice?
Ed è vero che mancano i fondi, oppure la questione fondamentale è dove e come vengono dirottati?

Un tema che non può non appassionare chi vive (e ne va fiero) a Bologna.
Assieme all'amica e collega della scuola di giornalismo Elena Montano,
ho provato ad avvicinarmi e conoscere meglio alcune realtà dell'audiovisivo a Bologna.
Gli articoli usciti su La Stefani sono due,
uno recentissimo sull'Archivio nazionale dei film di famiglia ,
l'altro uscito qualche mese fa su una Cineteca che si industria e va alla conquista della Regione.
Per la lettura integrale delle schede vi invito a cliccare sui link e leggere gli articoli su La Stefani.
Pubblico qui le versioni ridotte.






La Cineteca si industria. E va alla conquista della regione
di Francesca De Benedetti e Elena Montano

La veste comunale le sta stretta. La Cineteca di Bologna, forte del suo bagaglio di successi internazionali, vuole varcare le mura della città. Dovrebbe sostituire la Film Commission regionale, sostiene qualcuno. Nel frattempo la Cineteca colonizza nuovi settori, tra cui quello recente del sostegno alla produzione.  Attività sempre più ampie per rimanere nei confini di Bologna. Non a caso i finanziamenti comunali sono solo uno spicchio dei fondi che l’istituzione riceve. Un ruolo importante hanno anche i contributi provenienti dalle fondazioni come Del Monte e Carisbo. La Regione a sua volta è, per così dire, un partner d’eccellenza: per ciò che riguarda gli interventi diretti, la Cineteca è l’unica istituzione cinematografica a Bologna a ricevere dalla Regione contributi per le proprie proposte culturali. Per comprendere appieno quanto le vie della Regione conducano in via Riva di Reno e in via Azzo Gardino, è interessante la questione del sostegno alle produzioni. Se infatti la Film Commission emiliano-romagnola finora ha concentrato per scelta il proprio intervento sui film di animazione e sui documentari, ciò non ha impedito alla Cineteca di raccogliere un sostegno regionale e governativo per le produzioni da lei sostenute. Fino ad oggi a conquistare i finanziamenti per il cinema nella nostra regione è stata la Cineteca come capofila esterno associato agli assessorati regionali. Altra attività recente è quella che compare sempre sotto l’etichetta “produrre”, ma alla voce “produzioni Cineteca” – quindi con il brand dell’istituzione diretta da Gianluca Farinelli. In questo caso la Cineteca diventa coproduttrice e quindi entra a tutti gli effetti nel merito della realizzazione dell’opera. La selezione delle opere da produrre è comunque operata dalla Cineteca. 
Facciamo un passo indietro. Nella primavera 2010 gli 800 firmatari di Profilm, tutti operatori del settore cinematografico, si riuniscono per sollecitare l’assessore uscente Ronchi a istituire un fondo regionale e una commissione pubblica deputata a distribuirlo. Il nuovo assessore alla Cultura Massimo Mezzetti raccoglie il testimone e attiva un gruppo di lavoro; obiettivo: il progetto di un “Film fund”, a sostegno dell’audiovisivo a 360°. Parallelamente voci autorevoli chiedono che la Cineteca diventi un’istituzione regionale, come abbiamo visto. Se questi due progetti dovessero andare entrambi in porto, non è difficile immaginare allora che proprio la Cineteca possa avere un ruolo fondamentale riguardo allo stesso Film fund. L’ambizione regionale dell’istituzione bolognese del resto non è cosa segreta, come spiega lo stesso Boarini che ha seguito le varie tappe dalla nascita dell’istituto all’inizio del nuovo millennio. A questo progetto di espansione non si può non affiancare lintenzione di trasformare la Cineteca in fondazione, espressa da Farinelli già nel 2009. La Cineteca del futuro può essere prefigurata sempre più grande quindi, integrata o sostitutiva delle funzioni della Regione nel settore, ma allo stesso tempo fondazione. Quali garanzie ci saranno che le scelte (anche riguardo a cosa coprodurre) rispetteranno criteri pubblici e condivisi? Una possibilità, sostiene Ronchi, sarebbe quella di «dare vita a una fondazione con uno statuto in cui si accorpino i finanziamenti della Film Commission e della Cineteca». Quando si costituisce un ente di questo tipo, chiarisce l’ex assessore alla Cultura, «si scrivono statuto e regolamento e la Regione può quindi collaborare alla stesura delle nuove regole». Nel frattempo la Cineteca del presente già da tempo non è più solo memoria storica con i suoi archivi, bensì protagonista con il suo brand su film e pacchetti editoriali: si è trasformata in un piccolo gigante del cinema del territorio. Ma la sua evoluzione rischia di lasciare indietro altre realtà del settore.
Articolo integrale su La Stefani


Quando il film di famiglia diventa patrimonio collettivo
Piazza Maggiore aperta al traffico e le macchine parcheggiate davanti a San Petronio, l’inaugurazione di un negozio di abbigliamento, sfilate militari e manifestazioni religiose. Sono le testimonianze filmiche impresse nelle pellicole di chi nel tempo ha voluto documentare spicchi di vita intima e cittadina a partire dagli anni ’20, diventate ormai un patrimonio collettivo dal grande valore storico e culturale grazie al lavoro dell’associazione Home Movies – Archivio Nazionale dei film di famiglia – che tra il 1999 e il 2001 ha avviato proprio a Bologna lo studio, l’archiviazione e la valorizzazione del cinema amatoriale e familiare. La sua sede di via Sant'Isaia  custodisce più di 12.000 film e materiale audiovisivo proveniente non solo da Bologna ma da tutta Italia grazie alle donazioni spontanee  e a bandi di raccolta, per una durata di circa 4.000 ore. Con un’iniziativa unica nel panorama italiano, Home Movies ha cominciato fin da subito a censire e raccogliere memorie filmiche che non sono state solo archiviate, ma anche restaurate e digitalizzate.   
La microstoria che fa invidia al Piemonte. Se ultimamente il Piemonte sembra essere diventato la regione modello per il rilancio del settore cinematografico (stando alle valutazioni de L’Espresso e ai discorsi dei cinefili), nel caso dell’Archivio nazionale dei film di famiglia l’Emilia-Romagna si è dimostrata capace di dare la direzione. Un'eccellenza bolognese che rischia di non potersi sviluppare quanto meriterebbe per la carenza di spazi e, spesso, di denaro. In quest’ottica le sponsorizzazioni dei privati sui singoli progetti si rivelano di frequente l’unica chance per dare un futuro alle attività. L’arch ivio climatizzato messo a disposizione dall’Istituto Parri in via Sant’Isaia sta esaurendo gli spazi liberi, Home Movies riuscirà forse a colonizzare qualche altro armadio, ma nel frattempo arrivano materiali su materiali, ad esempio quelli appena raccolti in Puglia. Potendo contare su finanziamenti adeguati, Home Movies potrebbe mettere a disposizione non solo degli studiosi e dei documentaristi, ma anche dei curiosi,  il patrimonio raccolto. Un po’ come avverrà nel progetto “Una città per gli archivi” finanziato da Del Monte e Carisbo: su un portale online, a cavallo tra il 2011 e il 2012, verranno messi a disposizione dei visitatori web circa 1500 film degli anni ’20 e seguenti, con schede biografiche e contestualizzazione storica.   

Politiche culturali.. Progetti e poli che, crescendo, sembrano rispondere a una politica culturale bolognese un po’ stanca, che Guglielmo Pescatore, docente al Dams dell'Università di Bologna, non esita a definire “abbastanza conservatrice”. Almeno per ciò  che riguarda l’audiovisivo, spiega, tutto si basa  ormai sull’autorialità. Quella dei nomi, degli autori rinomati, è però una politica vecchia secondo Pescatore, che invita a riflettere su un panorama dei media in mutazione e che vorrebbe vedere a Bologna una politica culturale pubblica che non opti sempre  per la soluzione più ovvia. Condivide questa riflessione Paolo Simoni di Home Movies quando racconta di una Bologna «da circa dieci anni non più in grado di esprimere politiche culturali. Spesso si confonde tra cultura  e spettacolo», spiega. L’Archivio che pensa in grande e che immagina una Bologna centro d’Italia, parte invece dal piccolo e dallo sconosciuto, dalla storia di famiglia, dalla microstoria. Ma sta dimostrando negli ultimi anni di contribuire in modo rilevante alla (ricostruzione della) storia di Bologna. Articolo integrale su la Stefani