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domenica 10 luglio 2011

Parola di donna!

Il 13 febbraio eravamo tantissimi. Il 9 e 10 luglio siamo stati quel tanto che basta per costruire un piano di una casa nuova dopo aver distrutto tutti assieme quella vecchia in cui non entravamo più, per scelta e per necessità. Il 13, il 9 e il 10 ci siamo stati non tanto e non solo per le donne, ma per sfondare un muro, uscire dal perimetro, mostrarci anzitutto a noi stessi per le forze che abbiamo e che mettiamo in campo.

Non è un caso che anche adesso che “il vento cambia”, i lavoratori rimangano i ribelli, gli abitanti della montagna i barbari, gli innovatori i pericolosi sovversivi. Perché i centri decisionali, i centri di potere funzionano e si alimentano finché noi passiamo parola. E allora in fondo in fondo, anche se cambia il lato da cui vediamo le cose, da destra o da sinistra, non cambia il perimetro dello spazio pubblico, che si fa sempre più stretto. Perché più le cose cambiano, più chi vede il proprio potere a rischio serra i ranghi. E se anche le cose cambiano, la lavatrice del senso comune, che ormai perde acqua da tutte le parti, infeltrisce ogni buona ragione e, alla fine del lavaggio, lascia solo etichette.

“Tutto cambia perché tutto rimanga come prima”. Il popolo fa la rivoluzione, ma c’è sempre qualcun altro che la amministra, che ne dispone, che chiude il cerchio. Dopo i partigiani i democristiani, dopo mani pulite Berlusconi. E dopo Berlusconi?

Le donne di Se non ora quando hanno capito che non bisogna fare sconti, e che anche se fosse il centrosinistra ad andare al governo non dovranno smettere di dire le nostre parole e di far pesare le ragioni della democrazia, dell'equità e della condivisione. Le donne di Se non ora quando sono ingenue - è questa una delle etichette uscite fuori dal secondo lavaggio.

Siamo ingenue: coltiviamo valori, dignità e una libera intelligenza anche quando non "conviene", anche quando "il mondo non gira così, baby!". E quindi, lo dicono alcuni che evidentemente sono più furbi, siamo ingenue. Il mondo si può anche cambiare, baby, e almeno qui ci proviamo. Perché capiamo e dopo aver capito scegliamo, ci determiniamo, decidiamo non solo dove vogliamo arrivare, ma anche come vogliamo arrivarci. Secondo la lavatrice del senso comune, chi sceglie come arrivarci è "ingenuo", e queste donne di Siena sono "donne isteriche di sinistra", come le ha definite un uomo che a Siena c'era ma non per scelta. Secondo quella lavatrice, è normale tutto ciò che sta portando questo paese al fallimento, "gira così".

E come possono queste donne cambiare le cose, se non cambia quel senso comune? Se non cambia il linguaggio, che con sé porta valore? E se non cambia il discorso, perché finalmente porti con sé anche una voce plurale? Ecco, io ho aperto questo blog con il 13 febbraio al grido “Le parole sono importanti!”. E le parole, io credo, sono la prima cosa di cui abbiamo bisogno. La prima arma per la nostra battaglia, il primo strumento per il cambiamento. Prima di etichettare tutto ciò, pensiamoci. Pensiamo a tutto ciò che la cultura può fare, che la parola può fare: riconoscere l’altro con un nome in cui egli stesso possa riconoscersi. Costruire uno spazio pubblico per tutti. Accettare e promuovere il confronto democratico. La prima cosa di cui abbiamo bisogno è costruire le nostre parole!


Qui a Siena è estate, il tempo è maturo, le donne possono dire l’indicibile e fare cose che prima non avevamo mai fatto. Rigorosamente in rosa shocking. Le donne possono dire l’indicibile. Come Fabrizia Giuliani, bionda, così magra che il vento potrebbe trascinarla via, ma così piena di forza, anche quando scosta gli occhiali dal viso perché parlare dal palco inizia a commuoverla. Fabrizia parla assieme a Francesca Comencini e dice cose ovvie che ovviamente non si possono dire. Ci racconta che le strutture di potere, le economie, e il mondo simbolico che creiamo e facciamo vivere, sono tutt’uno. Ci racconta che le parole (e le immagini) sono importanti.

Per cambiare assieme a Fabrizia dovremo resistere a due perversioni: quella per cui conta solo l'azione, e le parole sono solo apparenza, il vestito della domenica da indossare dopo una settimana di lavoro. E l’altra pervesione, quella da cui ho sempre preso le distanze con tutta me stessa, e che consiste nel soffiare parole ad arte per blandire, per manipolare, senza il rispetto per l’altro, senza relazione, solo per opportunità. E’ la famosa “comunicazione”, quando dietro poi non c’è nulla.

E allora no, non conta solo fare, conta anche poter dire e poterlo fare sulla scena pubblica. Conta, come conta che la società che cambia abbia il suo foglio di carta su cui lasciare traccia. Conta quanto il valore della verità, il diritto di pronunciarla. E allora i lavoratori che lottano non sono "i ribelli" senza ragioni, il popolo della montagna non è il popolo "barbaro", l’innovatore sereno non è "il pericoloso sovversivo". Conta riportare la verità senza appiattire i punti di vista verso uno unico e dominante.

In questa Siena di metà luglio possiamo permetterci di manifestare con le bolle di sapone senza sentirci frivole, possiamo vestirci di rosa senza sentirci vezzose, possiamo essere donne senza costruirci etichette addosso. E la musica che attraversa i vicoli di Siena è una musica intima e profonda, e le bolle di sapone ci volano addosso e ci legano l’una all’altra. Per uscire da una dittatura dolce e assaporare la dolcezza della rivoluzione. “Noi non vogliamo il potere in quanto tale, noi vogliamo poter fare e poter dire, non ci interessa dominare, ci interessa condurre il paese verso una strada diversa e migliore”. Parole non mie, ma anche mie.