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sabato 20 luglio 2013

Staffetta democratica







Lunedì 22 il Consiglio comunale discuterà sulle strade da intraprendere a seguito del referendum consultivo dal quale è emersa la chiara volontà dei cittadini di inidirizzare le risorse pubbliche alle scuole comunali e statali. Tuttavia, il rispetto dell'esito del referendum non è affatto scontato, anzi.
Per questo motivo ci si mobilita fino al 22 con una veglia-staffetta di cui trovi tutte le indicazioni QUI-LINK. Condividi l'evento e, se credi, partecipa attivamente: se non rispetta la volontà dei cittadini, che democrazia è?




domenica 26 maggio 2013

La notte prima



Il referendum di Bologna è una conquista dei suoi cittadini, un appuntamento di democrazia fortemente voluto per mesi e mesi, più di un anno. 
Non la sera prima, se ne raccontano le ragioni, gli slanci. 
Ci sono cose che si accumulano la notte prima, amori che nascono a prima vista nel battito di un'ora. Stanze da riordinare in fretta, compiti da fare un momento prima che suoni la campanella. 
Non è così per la lotta per la scuola pubblica: la possibilità di dibattito, di respiro, aperta in città dai referendari è molto più di una riga di appello poche ore prima che aprano le urne. 
E il grido di dolore della scuola pubblica, la scuola della Costituzione, passa attraverso le storie di tanti, i loro vissuti. Così nei vissuti passa l’amore per la scuola laica inclusiva pubblica gratuita, perché è passione civile, democrazia. E così il cambiamento, non è un rapido colpo di spugna né una lavata di faccia gattopardesca. 
E’ la capacità di un territorio di produrre un pensiero collettivo e di reagire ai diritti messi a rischio. 
Se la graduale scivolata verso la privatizzazione dell’istruzione pubblica è oggi all’attenzione di tante e tanti, se tanti e tante saranno capaci di invertire la rotta, tutto questo sarà stato il frutto di un percorso comune. Persino oltre la giornata di domani, ci sarà il coraggio di dirsi e di dire le cose come stanno, ci sarà la coscienza di una città che di fronte ai problemi sa ancora reagire e che sa farlo con spirito solidale. 
Tutte le ragioni e le emozioni e le passioni, non stanno in una notte sola. Domani i cittadini diranno la loro, e questo è quel che conta.
Questo conta.

IL REFERENDUM IN DUE MINUTI (così lo raccontavo il 23 marzo)


LE RAGIONI DELLA A E DELLA B (da una puntata di qualche settimana fa di Radio città del capo) link

A VOTARE A (Wu Ming) link




Agli indecisi, ai confusi, 
e a chi come me odia gli indifferenti

Voterò A perché se pensate che chi vuole lentamente distruggere la scuola pubblica e i nostri diritti, lo farà annunciando "lo sto proprio facendo!" e suonando per voi il campanello di allarme, vi sbagliate. I diritti possono esser sottratti nella distrazione generale, creando confusione, facendo passare messaggi falsi e fuorvianti. E così sta accadendo. Non è chi ve li toglie, i diritti, a dirvi: attenzione che ve li sto togliendo. Siete voi a doverne prendere coscienza. Non è chi sta finanziando le private e definanziando la scuola pubblica, a potervi dire che vi sta negando un diritto, se vuole conquistare il vostro voto o comunque la vostra acquiescenza. Ma siete voi a dover riprendere in mano la vostra coscienza, a vedere le cose come stanno. Siete voi, siamo noi, sono io, che devo accorgermi di cosa sta succedendo e agire di conseguenza.

Agisco di conseguenza, e voto A.

Mi ribello pacificamente al rifiuto del referendum che è rifiuto della democrazia. Dissento dal tentativo solito e abusato di tradurre le istanze dal basso inquadrandole in schemi di tensione e in linguaggi di violenza. Mi ribello pacificamente al tentativo di rinserrare le fila contro, e a quello di etichettarlo questo bel referendum: al tentativo insomma di soffocarlo, quel bel respiro, quel bel vento, che io invece sento e conosco, e che è il respiro di una città ancora viva, che lotta, perché esista ancora un "meglio", invece di un "meno peggio", o di un "peggio del peggio". Voterò A perché ho conosciuto stupende persone che per la scuola pubblica stanno lottando e vogliono lottare. Che si sono conquistate questo momento di democrazia con serena determinazione, nonostante ci sia chi non intende prendere in considerazione l’opinione degli stessi cittadini (che, altresì, intende poi persuadere a votare come dice lui). Io mi ribello pacificamente al non voler discutere, al non voler far partecipare, e infine all’indifferenza. Dico forte il mio A, il mio per la scuola pubblicA!, perché sono viva e pensante, e prendo parte alle scelte che a noi cittadini spetta fare insieme.

Tutto il resto, tutto il tanto, ce lo siamo detti e ce lo stiamo dicendo.

Ma quello che stasera ci tenevo proprio a dire, è: votate con coscienza, la vostra. Con lucidità, la vostra. Sapendo che ad aprire gli occhi potete essere soltanto voi, e non qualcuno per voi. E che le parole di Calamandrei sono davanti ai vostri occhi, e ai miei.


Francesca

domenica 5 maggio 2013

Il partito è uscito da noi





Non intendo rinnovare la mia adesione e iscrizione al Partito democratico. L’ho detto a voce qualche giorno fa agli amici del Pd del mio territorio, l’ho scritto con un po’ di rammarico al segretario migliore che io abbia incontrato, Riccardo del circolo precari Pd, l’ho maturato nel tempo. Lo scrivo qui per dire con trasparenza come la penso a tutti gli amici che desiderano conoscere il mio pensiero: questa è una lettera intima per spiegare (come posso in qualche riga) la scelta personale, libera, che mi sono assunta. Per dirgli che so perfettamente che le idee che stanno a cuore a me, sono di tanti, e che spero ancora a lungo lo saranno. Questo infatti non è né un messaggio, né un atto, di rassegnazione e di disperazione. Questo è un atto di coscienza e di consapevolezza, è un sussulto di dignità, la pretesa di un cambiamento. Oggi il cambiamento, che è il pane, non può essere elemosinato, dev’essere rivendicato come un diritto. Come lo è la dignità dei lavoratori, precari e non, il diritto all’istruzione pubblica, i beni comuni, un rapporto virtuoso tra rappresentanti e rappresentati, una Europa sociale contro l’Europa dell’Austerity e della lotta di classe alla rovescia. La sinistra, quella viva, non è un bagaglio di simboli vuoti da usare all’occorrenza, ma la mobilitazione per l’estensione dei diritti, per l’uguaglianza. Ho sempre pensato – e sentito – che questi stessi valori ci rendessero parte di una collettività, assieme alla quale condividere un percorso. La politica è di tutti, di tutti è la partecipazione. Con questi valori, la partecipazione prima di tutto, ho deciso quando ero studentessa di impegnarmi, e per questi valori, ho iniziato a farlo nei Ds che allora stavano diventando Pd. 

Quando ho verificato che altro veniva fatto, e che tanto veniva non fatto, ho sempre, e nonostante ciò, avuto anche la sensazione forte di vicinanza con molte e molti: ho sempre creduto che fosse chi tradiva quegli ideali a tradirli, appunto. Quando ho scoperto che l’amministrazione finanziava le scuole private, e ho sollecitato una discussione sul territorio, e ho deciso di impegnarmi per la scuola pubblica, ho ricevuto dal segretario provinciale queste parole: “Raccoglierai quello che semini”, sotto un titolo d’agenzia: “Donini scomunica De Benedetti”. Io gli ho risposto serenamente, come chi fa scelte in coerenza con le proprie idee. Sono stata felice, e sono felice, di rappresentare per tanti una boccata di freschezza. Sono contenta di aver condiviso con i compagni del circolo precari Pd una presa di posizione tempestiva contro il governo Monti e l’attacco ai diritti. La stessa serenità mi impone di non rinnovare quella tessera: c’era una volta un partito che diceva parole poco chiare, ora invece è tutto persino lampante, a meno di rifiutarsi di vederlo. La partecipazione arriva ad essere vissuta come un pericolo. Le domande su scelte locali e nazionali si sono affollate nella mia mente in questi mesi.

E la risposta mi arrivava dai fatti:  perché è stata ostacolata una discussione dal basso sul tema oggetto di referendum, ed è stato ostacolato il referendum stesso, dichiarando inoltre che il parere che esprimeranno i cittadini non verrà tenuto in considerazione? Perché ostacolare e sminuire l’esercizio democratico? Perché di fronte al risveglio civile che c’era stato con il referendum sull’acqua e alle amministrative, non si è andati al voto? Perché è stato sostenuto il governo Monti e con esso la cosiddetta austerity contro la quale i maggiori economisti mondiali si spendevano? Perché nel silenzio generale il centrosinistra ha sostenuto il pareggio di bilancio? Perché si è appoggiata la macelleria sociale, oltre che l’attacco alla scuola pubblica, il tutto per di più senza che sia conseguita alcuna diminuzione, ma anzi l’aumento, del debito pubblico? Perché il parere e le istanze dei precari (tra cui il circolo precari, che dall’inizio ha chiesto di togliere il sostegno al governo Monti) sono stati completamente ignorati, aumentando il distacco tra la società e chi dovrebbe rappresentarla? Perché persino la contesa alle primarie del centrosinistra dimenticava le parole e le questioni essenziali, e la carta d’intenti lasciava presagire un Monti bis? Perché dopo anni di invocazioni al voto utile si è persino costruito un governo con Berlusconi? Perché non è stata sostenuta la candidatura alla presidenza della Repubblica di Rodotà? Perché sono anni che dal basso altri come me esprimono una istanza di cambiamento, avvertendo che altrimenti sarebbe stata la morte, ma intanto le scelte (o le non-scelte) dei dirigenti facevano crescere una distanza con la società, che aumenta colpevolmente? E perché oggi, nel mentre si sancisce l'alleanza con Berlusconi, con tutte le pericolose derive anticostituzionali che questo implica, sempre dall’alto c’è chi dice “si ma ora moriamo e poi rinasciamo”? 

Quale credibilità hanno queste parole se vengono da chi, anche giovane anagraficamente, ha contribuito a scelte fallimentari e all’allontanamento ostinato dalle idee e istanze della base? Il partito è uscito da noi. Da ideali e idee comuni, voglia di confrontarsi, da una storia e una visione della società. E’ uscito da quelli che magari da tempo quella tessera non la rinnovano più, quelli che la rinnovano per speranza ma che sono indignati, quelli che votano altri partiti o movimenti, quelli che credono nella partecipazione e nonostante tutto si ritrovano afoni, senza rappresentanza. E quelli che ancora stanno, che ancora sperano, quelli che il tradimento non vogliono ammetterlo neppure a se stessi perché tradisce una parte importante della loro storia e identità. La distanza tra i dirigenti e il loro popolo appare ormai insanabile, a tutti i livelli. Eppure tutto questo era prevedibile, e anzi era stato previsto: chi come me lottava per un partito “democratico” davvero, da tempo esortava ad ascoltare ciò che accadeva fuori, nella società viva. A discuterne, ad agire, a confrontarsi, invece di incancrenirsi in una pratica politica chiusa e autoreferenziale, sempre più scivolosa verso destra. Ormai sotto quella bandiera di partito ci sono scelte per nulla condivisibili ed estreme a tal punto, nella loro incondivisibilità, a tal punto evidenti nella loro natura, che rimanere sotto quella bandiera implicherebbe una condiscendenza e una corresponsabilità con cui bisogna scegliere se convivere, e io scelgo di no. "Il potere (la subordinazione dei molti a uno solo) non è uno stato di cose oggettivo che persiste anche se lo ignoriamo; è invece qualcosa che persiste solo con la partecipazione dei suoi soggetti, solo se viene attivamente assistito da loro" , scrive Slavoj Zizek. 

Perciò credo con convinzione che senza un risveglio, senza un atto di coscienza, senza un sussulto di riscatto morale e ideale, senza una radicale presa di coscienza, nessun cambiamento potrà ormai esservi. Senza un sussulto di dignità da parte di quei tanti, quella collettività resa muta dalla mancanza di rappresentanza, senza quel sussulto, il cambiamento sarebbe soltanto un’apparenza. Una vergine in pasto al drago. La stessa logica per cui abbiamo un governo con donne e giovani, sì, ma un’idra, un mostro dalle tante teste che tagliate ricrescono, un esempio di ostinazione del potere alla propria autoreferenziale sopravvivenza. Dove sta il coraggio, c’è il coraggio? Dove sta il cambiamento, c’è il cambiamento? Il coraggio e l’impegno al cambiamento si incarnano nelle scelte. La scelta di sostenere la scuola pubblica, la scelta di sostenere i beni comuni, la scelta di stare dalla parte di precari e lavoratori, la scelta di una politica democratica viva vitale e davvero bendisposta al cambiamento. Finché latitano i fatti, e finché latitano le parole o se ne stravolge il significato, l’oggi è indigeribile a meno di perdere il valore essenziale del partecipare, a meno di fare un patto col diavolo. Rimango me stessa, libera come sempre ho scelto di essere, leale ai tanti che contano, i cittadini, e non fedele ai pochi che contano. Fermamente convinta che la partecipazione alla cosa pubblica ci riguardi tutti, ancor di più in questa fase storica. Ma che nessun cambiamento può esserci, senza il coraggio delle proprie idee e senza che il tappo di sughero tra la politica e la Politica salti. Il governo Pd Pdl è il segno evidente (il pasto completo che fa seguito all’antipasto in salsa montiana) che la “sinistra” ha da tempo abbandonato se stessa, nonostante la direzione ostinata e contraria di gran parte del suo popolo. Possiamo anche ritenerci assolti, ma saremo sempre coinvolti. Proprio per questo io quella tessera non la rinnoverò. Per tutto il pessimismo della mia ragione e per tutto l’ottimismo della mia volontà, dico: non nel mio nome. 

Francesca

mercoledì 27 febbraio 2013

Donna Rachele, nostalgia del ventennio e incapacità di futuro

LA PREMESSA
Succede a Santo Stefano. "Oggetto: Il consigliere di quartiere Michele Laganà in occasione del consiglio di quartiere del 27 febbraio 2013. Proposta di intitolare la sala del Consiglio di Quartiere a Rachele Mussolini. Visto che la nostra sala del Consiglio di Quartiere non ha intitolazione propongo di intitolare la sala a Rachele Mussolini. Motivazione: Donna Rachele riconosciuto da tutti è stata una grandissima figura di donna italiana, è sempre rimasta fuori dalla politica ,ha sempre cresciuto e difeso i figli con una grande umiltà e onestà in momenti difficilissimi dedicando tutta la sua vita a loro".


MARTEDì SERA
Ieri alle 20 il Consiglio di Quartiere si riunisce e discute anche l'ordine del giorno proposto dal consigliere di quartiere del Popolo della Libertà, Michele Laganà. 
In sala ad ascoltare, un folto gruppo di antifascisti, giovani e donne, anche figlie di partigiane. 
Personalmente sento di ringraziare queste cittadine e questi cittadini per la loro presenza civile che è segno di attenzione e capacità di arginare civilmente sul territorio i rigurgiti neofascisti.

La proposta di Laganà viene bocciata ad ampia maggioranza. Favorevole lui, astenuto un suo collega del Pdl, contrari gli altri Pdl-Lega, qualche assente, contrari Centrosinistra M5stelle e udc. 
Penso che la proposta, fatta in sede istituzionale, sia grave, e che rigurgiti fascisti come questi vadano duramente ed esplicitamente condannati. Non basta io credo votare contro, bisogna anche dare un segnale chiaro che non c'è spazio nelle istituzioni e nella città per il fascismo in qualsiasi sua forma e iniziativa. Questa è una precisa responsabilità delle istituzioni oltre che dei cittadini.
Ecco il mio intervento fatto ieri in Consiglio.

Nel leggere la proposta di Laganà si potrebbe pensare con ottimi argomenti a una nostalgia del ventennio.
Ci si potrebbe domandare se non sia allarmante che una proposta simile, l’intitolazione della sala del consiglio di una istituzione alla moglie fascista del fascista per eccellenza, venga da un rappresentante delle istituzioni.

La risposta è sì, io credo che sia allarmante e da frenare con immediatezza e convinzione.

Si, io credo che ci sia nostalgia del ventennio in quella proposta, non c’è dubbio.

Mi auguro che il rifiuto di una proposta simile venga compatto e netto in una città come Bologna, madre della resistenza, dell’antifascismo, della giustizia e della libertà.

Ma alla durezza con cui avverso questo colpo di spugna alla memoria, devo aggiungere anche un’altra breve considerazione.

La sensazione amara che mi pervade nel leggere quella proposta, è una sensazione di una mancanza di futuro, incapacità di futuro, di questo guardarsi alle spalle rimanendo incapaci di vedere oltre.

Mi chiedo e vi chiedo se sia accettabile che nel 2013 si debba utilizzare l’essere donna e l’essere mamma per recuperare una sorta di orgoglio fascista. 
Essere donna ed essere mamma generosa è per fortuna un merito di tante, caro Michele. 


Ma oggi nel 2013, con una disoccupazione alle stelle, la diffusione ampia del precariato, quale politica indugia nei ricordi del ventennio invece di aborrirli e di guardare coraggiosamente al nuovo a partire dai diritti collettivi? 
Qualcuno interpreta la proposta di Laganà come provocazione, se così fosse avrei ritenuto provocazione più intelligente intitolare questa sala a San Precario.
Quale politica è, oltre che così buia, così autoreferenziale?

Se dovessi guardare al passato che sia anche il mio futuro, io guarderei al lavoro dei padre costituenti, prova di civiltà troppo spesso svilita tuttora.

Se dovessi guardare al nostro passato che sia anche il nostro futuro, penserei che le istituzioni più vicine al cittadino, loro innanzitutto, devono difendere e promuovere la democrazia, una politica aperta e senza ombre, una politica che invece di recuperare la parte più buia della nostra storia contribuisca a costruire un futuro più luminoso per tutti.

Per questi motivi, per la memoria e ancor più per un presente e un futuro più giusti, non posso che votare contro la tua proposta,
sicura e fiduciosa che un giorno potremo gloriarci delle tantissime donne che non solo non si sono tenute lontane dalla politica,
ma l’hanno vissuta con coraggio, partecipando, anche e proprio per i loro figli.












venerdì 25 gennaio 2013

Una città viva, libera e futura respinge l'indifferenza

Devo condividere con voi l'amarezza per lo sgombero di Bartleby,
centro sociale e culturale nato dall'esperienza dell'Onda e che sul territorio, a Santo Stefano, in via Petronio Vecchio, ha promosso e coltivato percorsi culturali e democratici di grande pregio.
Lo spazio, di cui l'Università ha deciso di non rinnovare l'utilizzo ai ragazzi, è stato sgomberato, le mura murate. Dentro quelle mura ci sono i fondi del poeta Roberto Roversi, fondi che i ragazzi di Bartleby avevano preso in cura. 
Il Comune dal canto suo avrebbe proposto l'uso di un capannone in zona Roveri.
Non c'è bisogno di frequentare Bartleby per essere arrivati a conoscenza del grande lavoro culturale che i ragazzi hanno sviluppato.
Basta frequentare il territorio.
Ricordo per esempio la grande manifestazione antifascista contro la presenza di Casa Pound in via Guerrazzi, che Bartleby contribuì in gran parte a organizzare.
Ho ben presente la qualità delle iniziative e la libertà intellettuale che fanno vivere Bartleby.
Come cittadina e consigliera del territorio dove i semi di Bartleby hanno germogliato, considero quella esperienza preziosissima.
Nulla di nuovo per me: l'ho sempre riconosciuto anche pubblicamente, sin dal 2011 (vedi qui il mio pensiero).
Penso che sarebbe, oltre che giusto, lungimirante non chiudere ma aprire a queste realtà, che volendola vedere in termini di produttività (e la cosa non mi piace) producono beni sociali e culturali di pregio per la collettività.
Sono quindi una risorsa da coltivare.
Volendola vedere in termini di democrazia e cultura (come io preferisco) sono uno spazio vitale, e quindi una società viva che guarda al futuro dovrebbe promuovere e coltivare questi spazi.
Lo stesso vale per Atlantide, che recentemente ha perso la propria casa al Cassero di Santo Stefano.
Un territorio dove c'è spazio per Casa Pound, ma non per Atlantide né tantomeno per Bartleby, è una terra molto arida.
Invece realtà culturali come Bartleby dovrebbero trovare non solo terra, ma semi comuni,
e poter crescere rigogliosamente, con la stessa libertà intellettuale con la quale sono nati.
Vi informo che domani alle ore 14 in piazza Verdi Bartleby e i suoi amici della città sfileranno in corteo.
Penso che la chiusura e l'indifferenza istituzionale, politica e soprattutto civile sarebbero nei confronti di Bartleby una ingiustizia,
ma che ancora di più lo sarebbero per la nostra città, se la vogliamo viva, libera e futura.
Non assecondiamo l'indifferenza né la chiusura, scegliamo la partecipazione.
Francesca

 

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che già è qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne.
Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.
Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio. 
(Italo Calvino, Le città invisibili)