Non intendo rinnovare la mia adesione e iscrizione al
Partito democratico. L’ho detto a voce qualche giorno fa agli amici del Pd del
mio territorio, l’ho scritto con un po’ di rammarico al segretario migliore che
io abbia incontrato, Riccardo del circolo precari Pd, l’ho maturato nel tempo.
Lo scrivo qui per dire con trasparenza come la penso a tutti gli amici che
desiderano conoscere il mio pensiero: questa è una lettera intima per spiegare
(come posso in qualche riga) la scelta personale, libera, che mi sono assunta.
Per dirgli che so perfettamente che le idee che stanno a cuore a me, sono di
tanti, e che spero ancora a lungo lo saranno. Questo infatti non è né un
messaggio, né un atto, di rassegnazione e di disperazione. Questo è un atto di
coscienza e di consapevolezza, è un sussulto di dignità, la pretesa di un
cambiamento. Oggi il cambiamento, che è il pane, non può essere elemosinato,
dev’essere rivendicato come un diritto. Come lo è la dignità dei lavoratori, precari
e non, il diritto all’istruzione pubblica, i beni comuni, un rapporto virtuoso
tra rappresentanti e rappresentati, una Europa sociale contro l’Europa
dell’Austerity e della lotta di classe alla rovescia. La sinistra, quella viva,
non è un bagaglio di simboli vuoti da usare all’occorrenza, ma la mobilitazione
per l’estensione dei diritti, per l’uguaglianza. Ho sempre pensato – e sentito
– che questi stessi valori ci rendessero parte di una collettività, assieme
alla quale condividere un percorso. La politica è di tutti, di tutti è la
partecipazione. Con questi valori, la partecipazione prima di tutto, ho deciso
quando ero studentessa di impegnarmi, e per questi valori, ho iniziato a farlo
nei Ds che allora stavano diventando Pd.
Quando ho verificato che altro veniva
fatto, e che tanto veniva non fatto, ho sempre, e nonostante ciò, avuto anche
la sensazione forte di vicinanza con molte e molti: ho sempre creduto che fosse
chi tradiva quegli ideali a tradirli, appunto. Quando ho scoperto che
l’amministrazione finanziava le scuole private, e ho sollecitato una
discussione sul territorio, e ho deciso di impegnarmi per la scuola pubblica,
ho ricevuto dal segretario provinciale queste parole: “Raccoglierai quello che
semini”, sotto un titolo d’agenzia: “Donini scomunica De Benedetti”. Io gli ho
risposto serenamente, come chi fa scelte in coerenza con le proprie idee. Sono
stata felice, e sono felice, di rappresentare per tanti una boccata di
freschezza. Sono contenta di aver condiviso con i compagni del circolo precari
Pd una presa di posizione tempestiva contro il governo Monti e l’attacco ai
diritti. La stessa serenità mi impone di non rinnovare quella tessera: c’era
una volta un partito che diceva parole poco chiare, ora invece è tutto persino
lampante, a meno di rifiutarsi di vederlo. La partecipazione arriva ad essere
vissuta come un pericolo. Le domande su scelte locali e nazionali si sono
affollate nella mia mente in questi mesi.
E la risposta mi arrivava dai fatti:
perché è stata ostacolata una discussione dal basso sul tema oggetto di
referendum, ed è stato ostacolato il referendum stesso, dichiarando inoltre che
il parere che esprimeranno i cittadini non verrà tenuto in considerazione?
Perché ostacolare e sminuire l’esercizio democratico? Perché di fronte al
risveglio civile che c’era stato con il referendum sull’acqua e alle
amministrative, non si è andati al voto? Perché è stato sostenuto il governo
Monti e con esso la cosiddetta austerity contro la quale i maggiori economisti
mondiali si spendevano? Perché nel silenzio generale il centrosinistra ha
sostenuto il pareggio di bilancio? Perché si è appoggiata la macelleria
sociale, oltre che l’attacco alla scuola pubblica, il tutto per di più senza
che sia conseguita alcuna diminuzione, ma anzi l’aumento, del debito pubblico?
Perché il parere e le istanze dei precari (tra cui il circolo precari, che
dall’inizio ha chiesto di togliere il sostegno al governo Monti) sono stati
completamente ignorati, aumentando il distacco tra la società e chi dovrebbe
rappresentarla? Perché persino la contesa alle primarie del centrosinistra
dimenticava le parole e le questioni essenziali, e la carta d’intenti lasciava
presagire un Monti bis? Perché dopo anni di invocazioni al voto utile si è
persino costruito un governo con Berlusconi? Perché non è stata sostenuta la
candidatura alla presidenza della Repubblica di Rodotà? Perché sono anni che
dal basso altri come me esprimono una istanza di cambiamento, avvertendo che
altrimenti sarebbe stata la morte, ma intanto le scelte (o le non-scelte) dei
dirigenti facevano crescere una distanza con la società, che aumenta
colpevolmente? E perché oggi, nel mentre si sancisce l'alleanza con Berlusconi, con
tutte le pericolose derive anticostituzionali che questo implica, sempre dall’alto c’è chi dice “si ma ora
moriamo e poi rinasciamo”?
Quale credibilità hanno queste parole se vengono da
chi, anche giovane anagraficamente, ha contribuito a scelte fallimentari e
all’allontanamento ostinato dalle idee e istanze della base? Il partito è
uscito da noi. Da ideali e idee comuni, voglia di confrontarsi, da una storia e
una visione della società. E’ uscito da quelli che magari da tempo quella
tessera non la rinnovano più, quelli che la rinnovano per speranza ma che sono
indignati, quelli che votano altri partiti o movimenti, quelli che credono
nella partecipazione e nonostante tutto si ritrovano afoni, senza
rappresentanza. E quelli che ancora stanno, che ancora sperano, quelli che il
tradimento non vogliono ammetterlo neppure a se stessi perché tradisce una
parte importante della loro storia e identità. La distanza tra i dirigenti e il
loro popolo appare ormai insanabile, a tutti i livelli. Eppure tutto questo era
prevedibile, e anzi era stato previsto: chi come me lottava per un partito
“democratico” davvero, da tempo esortava ad ascoltare ciò che accadeva fuori,
nella società viva. A discuterne, ad agire, a confrontarsi, invece di
incancrenirsi in una pratica politica chiusa e autoreferenziale, sempre più
scivolosa verso destra. Ormai sotto quella bandiera di partito ci sono scelte
per nulla condivisibili ed estreme a tal punto, nella loro incondivisibilità, a
tal punto evidenti nella loro natura, che rimanere sotto quella bandiera
implicherebbe una condiscendenza e una corresponsabilità con cui bisogna
scegliere se convivere, e io scelgo di no. "Il potere (la subordinazione
dei molti a uno solo) non è uno stato di cose oggettivo che persiste anche se
lo ignoriamo; è invece qualcosa che persiste solo con la partecipazione dei
suoi soggetti, solo se viene attivamente assistito da loro" , scrive
Slavoj Zizek.
Perciò credo con convinzione che senza un risveglio, senza un
atto di coscienza, senza un sussulto di riscatto morale e ideale, senza una
radicale presa di coscienza, nessun cambiamento potrà ormai esservi. Senza un
sussulto di dignità da parte di quei tanti, quella collettività resa muta dalla
mancanza di rappresentanza, senza quel sussulto, il cambiamento sarebbe
soltanto un’apparenza. Una vergine in pasto al drago. La stessa logica per cui
abbiamo un governo con donne e giovani, sì, ma un’idra, un mostro dalle tante
teste che tagliate ricrescono, un esempio di ostinazione del potere alla
propria autoreferenziale sopravvivenza. Dove sta il coraggio, c’è il coraggio?
Dove sta il cambiamento, c’è il cambiamento? Il coraggio e l’impegno al cambiamento
si incarnano nelle scelte. La scelta di sostenere la scuola pubblica, la scelta
di sostenere i beni comuni, la scelta di stare dalla parte di precari e
lavoratori, la scelta di una politica democratica viva vitale e davvero
bendisposta al cambiamento. Finché latitano i fatti, e finché latitano le
parole o se ne stravolge il significato, l’oggi è indigeribile a meno di
perdere il valore essenziale del partecipare, a meno di fare un patto col
diavolo. Rimango me stessa, libera come sempre ho scelto di essere, leale ai
tanti che contano, i cittadini, e non fedele ai pochi che contano. Fermamente
convinta che la partecipazione alla cosa pubblica ci riguardi tutti, ancor di
più in questa fase storica. Ma che nessun cambiamento può esserci, senza il
coraggio delle proprie idee e senza che il tappo di sughero tra la politica e
la Politica salti. Il governo Pd Pdl è il segno evidente (il pasto completo che
fa seguito all’antipasto in salsa montiana) che la “sinistra” ha da tempo
abbandonato se stessa, nonostante la direzione ostinata e contraria di gran
parte del suo popolo. Possiamo anche ritenerci assolti, ma saremo sempre
coinvolti. Proprio per questo io quella tessera non la rinnoverò. Per tutto il
pessimismo della mia ragione e per tutto l’ottimismo della mia volontà, dico:
non nel mio nome.
Francesca
Per quello che può servire e rispettando profondamente quello che provi e scrivi, io credo che sia molto importante rimanere invece dentro al partito e da dentro lottare (anche se può sembrare paradossale) per cambiarlo. Si può fare e ci credo, tant'è che io, iscritto dal 1974 al PCI, e via via attraverso tutti i vari passaggi (meno quello del PD), ho fatto domanda per ri-scrivermi, dopo l'entusiasmo delle primarie e della partecipazione. So che c'è una componente minoritaria che pesa in misura non proporzionale al numero effettivo di iscritti (i cattolici) e una maggioritaria (i laici) che ha rinunciato e rinuncia spesso per motivi che tuttora mi sfuggono ad esercitare democraticamente la sua egemonia- il caso del referendum del 26 Maggio è emblematico al riguardo- ma è da e su questo conflitto/confronto e sui suoi contenuti (la laicità dello stato, la difesa della Costituzione e su tutti gli altri temi che hai sollevato), che può nascere il partito nuovo.
RispondiEliminaPoi delusioni cocenti, programmi elettorali non rispettati e anche segretari (cattolici) deludenti, e sempre in nome della solita 'emergenza' nazionale (e locale), possono portare a momenti di profondo disorientamento, ma quando si hanno chiari in testa obiettivi e ideali da difendere e portare avanti, la voglia e la forza si trovano sempre.
Potrei diventare valdese, ma sono ancora cattolico...perché la Chiesa Cattolica avrà bisogno di me quando deciderà di cambiare. Potrei emigrare in Australia, ma resto in Italia perché questo paese avrà bisogno di me quando deciderà di cambiare...
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